Salmo 129 - Un’estate per vivere nella benedizione del Signore

Ristrutturare una casa a Roma è diventato quasi uno sport estremo. Qualche anno fa ho conosciuto una persona che per ore mi ha raccontato la sua disavventura nel farlo. Questa donna e suo marito avevano lavorato duramente per anni in giro per il mondo prima di potersi trasferire vicino ai loro figli. Finalmente dopo aver comprato un appartamento avevano iniziato i lavori di ristrutturazione. Fu un disastro. Il materiale non arrivava, il lavoro non andava avanti, gli accordi iniziali non furono mantenuti ed i costi lievitarono. Un vero e proprio incubo di ritardi, che però si concluse dopo qualche mese con una grande festa di inaugurazione, con tutta la famiglia. Quella stessa mattina, nel varcare la porta di casa, questa signora, notò che la punta del suo piede sinistro non si alzava per entrare. Era l’inizio di una malattia neurologica aggressiva e senza soluzione. Proprio lì, nel momento in cui tutto sembrava calmarsi, è cominciato per lei un nuovo percorso fatto di oppressioni quotidiane e di sfide dolorose.

Anche se oggi non stiamo sperimentando situazioni così estreme, anche le nostre vite spesso sembrano caratterizzate da una serie di oppressioni. Alcune sono la causa della nostra negligenza, altre sono il frutto di un mondo corrotto dal peccato, altre ancora ancora avvengono e non ne capiamo il motivo. Perché capita tutto a me? Perché ancora io? Il rischio concreto è di cadere nel vittimismo e di perdere la dimensione della grazia, della cura e della presenza del Signore nelle nostre vite. Nel salmo 129 l’autore guida il popolo e noi a considerare le sfide, le prove e le oppressioni in una prospettiva diversa, pattizia, eterna, che ci protegge dal cadere nel vittimismo e che ci introduce nella benedizione del Signore. Vogliamo vedere nel testo tre indicazioni per le nostre vite: ricorda la (tua) storia, riconosci la sua opera, fuggi la rovina.

1-        Ricorda la (tua) storia (la fedeltà di Dio)

Il popolo è chiamato a ricordare la storia della sua oppressione e della sua liberazione da essa (1-2). Un’oppressione che aveva lasciato segni indelebili in Israele (3).

L’oppressione per il popolo d’Israele non era di certo un’esperienza sconosciuta. Il salmista lo sa bene e lo evidenzia ripetendolo più volte. Dall’inizio della sua storia, nella sua giovinezza, il popolo aveva sofferto. Aveva provato la schiavitù (Es 1:8-14), distruzione ed esilio (2 Re 24-25) e le guerre contro i suoi nemici (Giudici). L’oppressione che avevano sperimentato era vera, profonda, ed aveva lasciato i segni del dolore patito (3). Ma Dio ha sempre mantenuto il Suo Patto di Salvezza e non ha mai permesso che il popolo venisse completamente schiacciato. Il desiderio del salmista è che questo sia ricordato con forza. Il popolo doveva vivere il presente alla luce della fedeltà di Dio nella storia. E così, anche la chiesa nella sua giovinezza ha provato la sofferenza e l’oppressione. Le persecuzioni romane, le stragi dei valdesi, l’oppressione dei i movimenti di riforma ne hanno plasmato il cammino. Ed ancora ai nostri tempi in molte nazioni la chiesa affronta l’orrore della persecuzione. Ma la promessa, il patto di Dio con il Suo popolo, sta proseguendo in Gesù Cristo. La chiesa è andata avanti per la grazia del Signore fino ad oggi, ed è chiamata nei giorni di prova e nei giorni di pace ad andare avanti ricordando. la fedeltà di Dio nella storia.

Questo vale anche per la storia delle nostre vite. Ognuno potrebbe passare ore a raccontare la propria vita e le oppressioni vissute caratterizzate dal dolore, dalla sofferenza e dalla battaglia. C’è chi ha perso dei cari, chi ha vissuto il tradimento, chi ha affrontato l’ingiustizia, chi l’abbandono. Il dorso dei nostri cuori, come dice il salmo, mostra le cicatrici scavate dall’aratro della sofferenza. Ma in Gesù Cristo possiamo vivere vite che non scadono nel vittimismo. Si, la sofferenza c’è o c’è stata, ma attraverso l’opera dello Spirito Santo nel cuore viene trasformata in uno strumento di benedizione (2 Corinzi 4). Il salmista ci chiama a vivere i tempi di pace e di sfida nella prospettiva della liberazione che Dio compie ed ha compiuto.

A Roma è nella nostra nazione siamo culturalmente accompagnati da un vittimismo che ci costringe al disincanto non permettendoci di vivere vite piene davanti a Dio. Fratelli e sorelle, non vogliamo essere moralisti, non vogliamo sforzarci di fingere che le oppressioni non esistano, ma come il popolo d’Israele nelle ascensioni, vogliamo andare avanti. Il Signore Gesù ha caricato su di sé le nostre lividure proprio perché noi potessimo vivere una vita nella speranza. Chiediamoci se nel nostro quotidiano preferiamo ricordare le nostre disavventure piuttosto che la liberazione che in Gesù Cristo è stata provveduta per noi. Ricorda la storia, ricorda la tua storia. Gesù è sempre stato fedele. In Cristo c’è pace, è Lui che dona la speranza, in Lui c’è benedizione, in Lui “ noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati; 9 perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi; 10 portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo;…affinché la vita di Cristo si manifesti in noi” 2 Cor 4,8-12  

2-        Riconosci la Sua opera (4) (la salvezza provveduta in Cristo)

Il Signore è giusto, Egli ha spezzato le funi degli empi (4)

L’apice di questo salmo è la giustizia e l’azione di Dio. Il conforto del salmista sta nella comprensione che è il Signore che ha fatto la differenza. È Dio che agisce liberando il popolo dall’oppressione ed ha agito perché è giusto. È il Signore che spezza le catene dei nemici. Ha rotto le catene della schiavitù in Egitto, ha donato forza a Sansone liberandolo dalle sue catene (Giudici) in vista di un liberatore migliore. La Sua azione salvifica non è stata un atto pietistico, ma avviene dentro la cornice della sua santità, del suo amore e dalla sua giustizia. Il popolo aveva chiaro in mente che Dio è un Dio di giustizia: “Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è accaduto, poiché tu hai agito fedelmente” (Ne 9,33). Mentre la gran parte delle sofferenze che il popolo aveva dovuto affrontare erano state proprio la conseguenza della loro ribellione alla giustizia di Dio, il Signore ha mantenuto il Suo patto di Salvezza. Un patto giusto che non poteva chiudere gli occhi davanti all’indecenza del peccato dell’uomo. Perciò, Dio ha prestabilito Gesù Cristo, il liberatore migliore, come sacrificio propiziatorio, affinché mediante la fede nel Suo Sangue fosse mostrata la salvezza al peccatore (Rom 3). Per pagare l’ingiustizia del peccato è stato necessario l’atto divino dell’incarnazione di Dio Figlio, la sua vita senza peccato, la sua morte e la sua resurrezione perché l’uomo potesse ricevere la salvezza eterna. Il prezzo di questa salvezza è stato altissimo, ma imprescindibile davanti il dramma del peccato dell’uomo.

Non c’è salvezza senza Gesù Cristo. Anche nell’antico testamento essa è sempre stata in vista della fede nel suo arrivo e nella sua opera. Tutto è in Cristo e la buona notizia del vangelo è che Lui è arrivato ed ha compiuto sulla croce un’opera eterna di grazia per chi pone la sua fiducia in Lui. Come il Signore ha spezzato le funi degli empi (4) così, Gesù Cristo ha spezzato i l legami della morte. In Cristo c’è salvezza per il peccatore perduto. Le sue lividure, i solchi delle frustate sulla sua pelle sono ora i segni che danno senso alle nostre sofferenze ed alle nostre sfide. La salvezza per le nostre vite ha un nome ed è Gesù Cristo. Non c’era nessun altro che avrebbe potuto farlo. Non basta cercare di essere brave persone, non basta frequentare una chiesa o aver assorbito un linguaggio o delle prassi bibliche, senza la fede in Gesù Cristo nulla potrà giustificare il nostro peccato davanti alla santità di Dio.

Fratelli e sorelle il prezzo per la tua vita e per la mia vita è stato Gesù Cristo. In lui possiamo vivere a pieno la benedizione del Signore nelle nostre vocazioni. Riconoscendo la sua opera, affermiamo la sua presenza in noi attraverso la persona dello Spirito Santo. Siamo stati uniti a Lui quando sulla croce ha pagato per il nostro peccato e siamo uniti a lui oggi nella nostra chiamata ad essere luce e sale in questa città. Non possono esistere aree vittimistiche nella nostra vita perché sono state crocifisse sulla croce con Cristo ed oggi chi ha creduto nel Salvatore, come Paolo ai Galati può affermare: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me; e la vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato sé stesso per me. (gal 2,20)

3-        Fuggi la loro rovina (le conseguenze dell’empietà)

Siano confusi e vadano via quelli che odiano Israele (5) Siano come l’erba che cresce sui tetti e secca rapidamente (6), nessuno ne raccoglie e per loro non c’è alcuna benedizione (7-8).

Le metafore che il salmista usa nel testo mostrano la condizione disperata degli empi che rifiutano Dio: sono confusi, sono come l’erba sui tetti, ovvero hanno vite che non portano frutto né per loro né per gli altri. Per le loro vite ci dice ancora il salmista, non c’è alcuna benedizione. Tutt’altro, queste parole pesano come una vera e propria condanna e maledizione verso di loro. “Che essi siano in questo modo” dice il salmista. L’empio è colui che rigetta di Dio, colui che è sufficiente a sé stesso e che non cerca né si sottomette al Dio sovrano. Questa empietà nasce in Adamo nella decisione di non obbedire al Signore, nasce nel desiderio di voler essere come Dio ed arriva fino a noi oggi nel nostro cuore. È l’empietà che coltiva vite lontane da Dio, incentrate su sé stessi e che producono amarezza, vittimismo e che conducono alla rovina (Salmo 1). L’empietà nasce dal cuore ci dice il salmo 36,1 e solo al cuore può essere guarita.

Il salmista invita a fuggire la rovina dell’empio. Ma questa non è una corsa lontano da qualcosa e una corsa verso qualcuno. Non esistono prassi, tecniche che possano donare un cuore integro e lontano dall’empietà, ma solo Gesù Cristo può farlo. L’empietà è un tarlo che produce vite povere, focalizzate sul proprio benessere e sul proprio individualismo. Ma Cristo ci apre ad una prospettiva eterna dove la sofferenza, la malattia è trasformata in benedizione, dove la prova è usata per occasione di crescita e dove l’egoismo si piega al servizio ed alla proclamazione della Sua Parola.

L’empietà paga ogni giorno il suo conto di disperazione a chi non accetta di mettere in discussione l’autorità sulla propria vita e un giorno al ritorno del Signore sarà giudicata colpevole. Ma oggi è ancora il tempo della grazia, Cristo ha pagato sulla croce per renderti giusto davanti a Dio, ha riscritto la storia della tua vita in una prospettiva di vittoria e di gioia eterna e guida in una vita lontano dall’empietà. Dove sei in questo salmo?

Se stai vivendo come figli di Dio in dinamiche empie, ravvediti. Cerca la sua cura il Suo volto e torna nel popolo di Dio. Chiedi aiuto nella chiesa che cerca il volto del Signore e l’avanzamento del regno. Dio in cristo Gesù ti ha chiamato mostrare frutti del ravvedimento e non ad essere sterpaglia sui tetti delle case. Non fare della sofferenza un’occasione di peccato.

Se ancora sei nel dubbio, se ancora vivi nella tua empietà, non rimanere passivo a questa parola. Fuggi la rovina, corri alla croce di Cristo, ravvediti del tuo peccato e vivi una vita di Gioia, trasformato dal Signore attraverso lo Spirito Santo, godendo della sua benedizione nella tua vita, nella chiesa, per l’avanzamento del vangelo in questa città alla Gloria di Dio.


Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.