Salmo 126 - Un’estate per meditare sulle cose grandi che abbiamo ricevuto e riceveremo
Questa settimana mi è stata rubata la bici. Quando mi sono ritrovato davanti solamente la ruota anteriore legata alla catena, come dice il salmo, mi è sembrato di sognare. Ma al contrario del salmo, il sorriso non mi è spuntato sulle labbra e non sono esploso in canti di gioia. Nella nostra vita, sono tante, forse addirittura troppe le situazioni che generano sentimenti contrari alla gioia. Possono essere questioni personali, legate alla scuola, al lavoro, alla famiglia e alle relazioni. Dinamiche spiacevoli che influiscono negativamente sulla nostra vita e sulla vita di coloro che amiamo. Avvenimenti più grandi di noi, legati alla città in cui viviamo o ad altri paesi, dove stanno avvenendo le guerre e i bombardamenti di cui sentiamo parlare spesso. Come possiamo cantare canti di gioia quando allo stesso tempo sperimentiamo spesso situazioni spiacevoli e dolorose? Rifocalizzando il nostro sguardo sul Signore, colui che è fonte di vera gioia.
Infatti il salmo ci dà delle direttive sulla gioia molto diverse rispetto a quelle della cultura maggioritaria. La gioia biblica non è un sentimento passeggero, effimero, circostanziale, ma una realtà spirituale duratura che dipende da ciò che Dio ha fatto nelle nostre vite. La frase centrale del salmo è il versetto 3: “Il Signore ha fatto cose grandi per noi, e noi siamo nella gioia”. Siamo nella gioia perché abbiamo riposto la nostra fede in Gesù Cristo, colui che ha fatto cose grandi per noi (v. 3). Per grazia, siamo entranti nella gioia del nostro Signore (Mt 25,21). Il Signore ha gioito della nostra salvezza e continua a gioire dei suoi figli. La sua gioia, di cui ci ha resi eternamente parte, ora è la nostra forza (Ne 8,10). Il punto di partenza dei credenti non è quindi ricercare una gioia assente, ma approfondire e nutrire una gioia già presente. Anche nelle lacrime e nella sofferenza, possiamo avere fiducia che il Signore provvederà gioia, o in questa vita o nella prossima.
1. Nella gioia, ricordiamoci dell’opera del Signore
Il Salmo ricorda il ritorno dei reduci a Gerusalemme dopo il periodo trascorso in esilio a Babilonia. L’evento deve essere stato straordinario e inatteso, a tal punto che sembrava essere un sogno. Finalmente, dopo anni di esilio in terra straniera, il Signore aveva permesso il ritorno dei reduci. Israele era stato nuovamente salvato dalle grinfie del nemico. Loro non avevano fatto niente, era stata la mano del Signore a salvarli e a riportarli a casa (cf. Es. 14,14). Dio aveva mantenuto le promesse del suo patto (cf. De 30, 3). Mentre l’esilio era stato il risultato della disobbedienza alle parole di Dio, Dio è rimasto sempre fedele alle sue parole. Questo evento non poteva che essere celebrato con entusiasmo (v. 2). Non solo era un evento straordinario per coloro direttamente interessati, ma anche per le nazioni intorno. Esse avevano testimoniato le cose grandi che il Signore aveva fatto per il suo popolo. Non potevano negare l’azione del Signore. Israele aveva testimoniato ed era diventato testimonianza delle grandi cose che Dio aveva fatte.
La restaurazione storica di Israele anticipa e getta luce sulla restaurazione spirituale di cui abbiamo beneficiato per mezzo del sacrificio di Gesù Cristo. In lui, noi reduci siamo veramente ed eternamente riscattati e accolti dal Padre. In Cristo, abbiamo la sua gioia. Quando siamo stati liberati e salvati dal peccato ci sembrava di sognare. Non perché si trattasse di una salvezza fasulla o momentanea, ma perché siamo stati straordinariamente e sovranamente toccati e convertiti da Dio, il creatore dei cieli e della terra, il Signore dell’universo, il Salvatore del suo popolo. Ricordi il momento della tua conversione? Ricordi il prima e il dopo? Vivevamo nella terra del peccato e per grazia siamo stati trasportati nei luoghi celesti. La nostra vita è stata liberata dai lacci del peccato, stravolta, trasformata, ristorata, guarita, riabilitata. Possiamo tutti testimoniare che non siamo stati noi, ma è stato Dio a fare grandi cose per noi e per questo siamo nella gioia. Siamo testimoni della salvezza del Signore e siamo diventati testimonianza per coloro che ci circondano. Così come le nazioni intorno ad Israele non potevano negare l’opera di Dio, allo stesso modo le persone che ci conoscevano prima e ci conoscono ora riconoscono le cose grandi che il Signore ha fatto per noi. Le nostre vite sono state trasformate, i nostri pensieri purificati, le nostre azioni reindirizzate e le nostre priorità cambiate. In quanto chiesa, siamo testimonianza visibile della restaurazione di Dio. Siamo di benedizione e testimonianza nei contesti nei quali viviamo e lavoriamo. Ci raduniamo la domenica per celebrare e testimoniare le grandi cose che di Dio ha fatte per noi e per essere di testimonianza per quelli di fuori.
Viviamo circondati e influenzati da una cultura del mormorio, del lamento e del cinismo continuo. Nella cultura del “mai na’ gioia”. Rischiamo di cadere nella stessa spirale se non allarghiamo e renderizziamo la visione della nostra vita. Non più sull’io ma su Dio. Non su ciò che faccio io, ma su ciò che Dio ha fatto, fa e farà. Non più sulla ricerca di attimi di felicità che riempiono il vuoto, ma sulla realizzazione che siamo stati accolti dalla vera gioia che colma la totalità della nostra vita. Rischiamo di normalizzare la straordinarietà della salvezza e di non meravigliarci dell’opera del Signore. Gioiamo della salvezza ricevuta? Gioiamo della vita redenta? Gioiamo delle cose che Dio ha fatte? Contro una cultura frustrata, cinica e pessimista, ricordiamoci che la chiesa è alla presenza di Dio, dove c’è pienezza di gioia (Sl 116, 11). Continuiamo ad essere un popolo contraddistinto dalla gioia. Non quella effimera e circostanziale, ma quella stabile in Dio e nelle sue promesse.
2. Nelle lacrime, attendiamo la gioia del Signore
Seppur gioiosi di vedere i reduci, il salmista sottolinea che essi continuavano anche a soffrire e a versare lacrime. La liberazione dalla cattività era cominciata, ma non era giunta a conclusione. Nella prima parte il popolo sorride e canta per i reduci che il Signore ha fatto ritornare, nella seconda parte il popolo soffre e versa lacrime perché non tutti sono ancora tornati a Gerusalemme. Erano sì stati liberati, ma la liberazione non si era conclusa. Gioivano sì per ciò che Dio aveva fatto, ma allo stesso tempo continuavano a soffrire mentre si davano da fare e aspettavano con fiducia di rallegrarsi nuovamente e definitivamente. Gioia, sofferenza e speranza occupavano allo stesso tempo i loro cuori e i loro pensieri.
Il ritorno incompiuto di Israele puntava alla piena restaurazione attraverso il nuovo patto inaugurato dal sacrificio di Gesù Cristo. Non si trattava di una momentanea e parziale restaurazione, ma di una eterna e definitiva redenzione spirituale. Ciò che era avvenuto in parte gettava luce su qualcosa di più decisivo, grande e duraturo. La restaurazione anticipata e desiderata nell’Antico Testamento è stata adempiuta nella persona e nell’opera di Gesù Cristo. Con la sua morte e resurrezione ha veramente restaurato il rapporto tra Dio e l’uomo, inaugurando il suo regno. Noi abbiamo conosciuto per grazia di Dio la vera restaurazione. Come chiesa, testimoniamo all’umanità la restaurazione di Dio in Gesù Cristo e l’inaugurazione del suo regno.
Siamo stati eternamente redenti, il regno è stato inaugurato, la vera gioia della salvezza ha pervaso le nostre vite, ma continuiamo a soffrire e a piangere. Il regno che è stato inaugurato in Cristo deve essere ancora totalmente ultimato e realizzato. Gesù tornerà ed “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più né la morte, né cordoglio, né grido, né dolore” (Ap 21,4). Mentre attendiamo la gioia finale, siamo chiamati ad agire, a seminare, a coltivare, ad annaffiare nel regno che è stato restaurato e inaugurato da Cristo. Il salmo parla di cittadini sofferenti ma operose. Cittadini che piangono, ma che continuano a seminare. Cittadini che hanno speranza che ciò che fanno non andrà a vuoto ma produrrà raccolto. Cittadini che attendono fiduciose e speranzose di ricevere il frutto dalla mano del Signore. Così ha fatto il Signore Gesù Cristo, il quale “per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio” (Eb 12, 2). Così siamo chiamati a fare noi. È una speranza che deve essere nutrita da due angolature, una più ristretta e una più larga. Dobbiamo avere speranza che ciò che stiamo seminando con lacrime e sofferenza nei nostri contesti produrrà raccolto. Questo ci porterà a cantare di gioia al Signore. Ma se anche se ciò non dovesse avvenire, continueremo ad avere speranza che quello che stiamo facendo porterà gloria a Dio finché Cristo venga e completi l’inaugurazione del suo regno. Pur nelle lacrime, il nostro fondamento e la nostra prospettiva è la gioia che abbiamo ricevuto, che abbiamo oggi e che riceveremo. Siamo stati ristorati da Dio, siamo diventati cittadini del regno restaurato da Cristo, siamo chiamati, pur nella sofferenza, ad essere agenti di riconciliazione, fiduciosi di conversioni e cambiamenti, e in attesa dal compimento della restaurazione finale.
Se oggi ti sei reso conto di essere prigioniero del peccato e hai riconosciuto in Cristo il tuo liberatore, il tuo redentore, la tua gioia, gloria a Dio. Se invece neghi di essere prigioniero del peccato, prego che Dio ti mostri il contrario. Potrai anche sforzarti di sorridere e di cantare canti di gioia, ma non sarà mai abbastanza per colmare il vuoto della tua vita. La vera gioia non è qualcosa che si merita, ma è un dono che si riceve e si approfondisce, anche nel dolore e nella sofferenza.