Speranza quando non hai nulla da dare - Isaia 55

Immaginate di camminare con Dante Alighieri all'inizio della Divina Commedia, un uomo un tempo rispettato e influente a Firenze che improvvisamente si ritrova privato di tutto. Fu esiliato, tradito dagli amici e vagò lontano dalla città che chiamava casa. Scrisse:

 

“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”.

 

Ecco un uomo che aveva perso la sua identità, la sua sicurezza, la sua casa, il suo scopo: un uomo che non aveva più nulla da dare.

 

Per molti versi, questo è ciò che un giorno avrebbe vissuto Giuda, il popolo di Dio a cui Isaia scrive. Le parole che abbiamo appena letto furono scritte molto prima che Babilonia conquistasse Giuda e lo mandasse in esilio. Eppure, per mezzo dello Spirito di Dio, Isaia parla a un popolo futuro che, come Dante, avrebbe perso tutto: la sua terra, il suo tempio, il suo re, la sua libertà, la sua speranza.

 

Il profeta Isaia aveva già avvertito il popolo di Dio del giudizio, aveva già proclamato che a causa della loro disobbedienza all'alleanza, a causa della loro idolatria, delle ingiustizie, dello sfruttamento dei deboli, della mancanza di fiducia in Dio, sarebbero stati portati alla rovina. E anche se non avevano ancora affrontato tale sconfitta ed esilio, Isaia parla loro come se lo avessero già fatto. La parola di Dio sulla loro futura crisi era certa. Eppure, Dio stava preparando una consolazione prima che la crisi arrivasse.

 

Giuda avrebbe perso la sua terra, il segno visibile della promessa di Dio. Avrebbe perso il suo tempio, il luogo della presenza e del perdono di Dio. Avrebbe perso il trono davidico, simbolo di speranza. Avrebbe perso la sua dignità, la sua libertà, la sua sicurezza e la sua guida spirituale. L'esilio imminente avrebbe messo a nudo non solo una debolezza politica, ma anche una bancarotta spirituale. Isaia, quindi, parla a un popolo che un giorno si sentirà come Dante: vuoto, distrutto, disorientato, senza nulla da dare.

 

Questo capitolo conclude il grande "Libro della consolazione" di Isaia, che comprende i capitoli 40-55. Abbiamo già ascoltato l'annuncio di conforto che inizia con il capitolo 40 e un nuovo esodo dalla schiavitù che inizia con le parole "Consolate, consolate il mio popolo". Nel capitolo 42 abbiamo visto la rivelazione del Servo di Dio che sarebbe venuto a portare giustizia e speranza. Poi, nei capitoli 52-53, abbiamo visto come la sofferenza e il trionfo del Servo avrebbero dato vita ai colpevoli. E ogni volta ci è stato ricordato come questa consolazione venga attraverso Gesù, il Servo sofferente e il re unto che porta speranza ai cuori spezzati. Isaia 55, quindi, ci mostra come questa speranza viene ricevuta, rivelandoci la compassione di Dio per coloro che hanno perso tutto.

 

Cosa fai quando perdi tutto ciò che hai costruito per te stesso? Cosa fai quando tutto ciò in cui riponevi la tua fiducia, tutto ciò a cui guardavi per trovare il tuo valore, la tua sicurezza, la tua realizzazione e il tuo piacere ti viene portato via? Cosa fai quando ti senti spiritualmente al verde? Che speranza c'è quando non hai nulla da dare? Isaia 55 dice che dobbiamo ridefinire la speranza e ci offre tre inviti per aiutarci a farlo: Vieni al banchetto; Compra senza denaro; Mangia con fede.

 

1.     Vieni al banchetto

Questo capitolo si apre con uno straordinario invito di Dio agli assetati e agli affamati. Quattro volte nel primo versetto egli dice: “Venite”. “Venite, tutti voi che avete sete. Venite alle acque. Venite, comprate e mangiate. Venite, comprate vino e latte”. Questo linguaggio è, ovviamente, metaforico e in esso Dio parla al bisogno più profondo di ogni uomo, donna e bambino. A chi ha una sete disperata, a chi non può passare un altro giorno senza l'acqua che dà la vita, Dio dice: “venite e bevete”. A coloro che mancano di gioia, che hanno dimenticato il gusto della festa e della benedizione, Dio offre il vino, simbolo di gioia traboccante e di grazia festosa. Ai malnutriti, ai deboli, ai vulnerabili, Dio offre il latte, la tenera cura della sua grazia sostenitrice.

Dio non offre semplicemente di placare la sete o di restituire la gioia, ma offre nutrimento, forza, rinnovamento... cioè, la vita stessa, specialmente a coloro che si trovano nelle condizioni più fragili e disperate.

 

Il popolo di Dio che ascoltò queste parole prima dell'esilio promesso era assetato. Il popolo di Dio che fu poi mandato in esilio e che ricordava queste parole di Isaia era assetato. La differenza è che prima dell'esilio il popolo cercava di placare la propria sete e soddisfare la propria fame lontano da Dio, nella ricchezza delle cose che aveva a portata di mano. Dopo l'esilio, il popolo, completamente distrutto, senza più alcuna speranza, non aveva più accesso alle cose che prima lo soddisfacevano. Ma la stessa cosa vale per entrambi i gruppi, così come vale per noi oggi.  Tutti noi abbiamo sete in modo molto più profondo e spirituale. Il problema è che non abbiamo sete della cosa giusta. Invece di correre alla fonte della vita, corriamo ai pozzi avvelenati.

 

Amici, tutti noi abbiamo sete di significato. Abbiamo sete di identità. Abbiamo sete di giustizia. Abbiamo sete di pace e sicurezza. Abbiamo sete di un amore che non possa fallire, di una vita che rimanga stabile nonostante le difficoltà. Ma come il popolo di Giuda, passiamo i nostri anni a inseguire cose che non possono placare la nostra sete. Beviamo acqua dalle cisterne avvelenate del successo. Mangiamo nelle trappole per turisti dell'approvazione. Ci riempiamo di fast food dell'intrattenimento e del sesso. Sorseggiamo cocktail di controllo e di comfort. E come Giuda, prima e durante l’esilio, molti di noi scoprono che più consumiamo, più ci sentiamo vuoti.

 

L'invito di Dio nei versetti iniziali di questo capitolo cerca quindi di dirci che non è la sete il problema, ma il luogo in cui andiamo per cercare di placarla che ci distruggerà. Giovanni Calvino ha detto che:

 

il nostro peccato si manifesta nel fatto che l'uomo non ha più sete di Dio. Si riempie di illusioni, di falsa sicurezza, di desideri che non danno vita, e quindi non sente più il bisogno della grazia”.

 

Eppure, nonostante la nostra ricerca mal indirizzata di nutrimento e soddisfazione, Dio ci invita a venire a lui. A un popolo che riponeva la propria speranza nelle cose sbagliate per soddisfarsi, che alla fine sarebbe stato portato alla rovina e alla disperazione a causa della sua costante dieta di illusioni, disobbedienza e autoinganno, a un popolo senza speranza, Dio rivolge quattro volte l'invito a venire al banchetto per essere dissetato, riempito, sostenuto, guarito.

 

A chi è senza speranza; A chi ha sete; A chi ha fame e è debole; A chi non ha nulla da dare, Dio ci invita a dicendo: “Venite, venite al banchetto”.

 

2.     Compra senza denaro

Ma questo non è un banchetto qualsiasi! Questi versetti iniziali rivelano che il secondo invito a cena di Dio segue un'usanza italiana, ovvero chi invita paga! Dio sta effettivamente dicendo: “La cena, la offro io!”.  Ma quando il popolo sente per la prima volta questo invito, ha ancora molti altri banchetti e tavole da cui mangiare. Non ha ancora perso tutto. Non è ancora stato sconfitto e mandato in esilio. E così il Signore li affronta con la domanda:

 

Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia” (2).

 

Il popolo di Dio mangiava da un menu pieno di piatti avvelenati. Si stavano godendo la propria autosufficienza. L'antipasto di gioie alternative. Il primo piatto del culto pagano. Il secondo piatto della corruzione spirituale. Il dolce della distruzione. E il risultato finale di una tale dieta sarebbe stato la carestia, l'esilio e la completa rovina. Isaia scrive quindi a un popolo che un giorno si troverà senza risorse di alcun tipo e annuncia il gentile invito di Dio a venire a mani vuote alla sua tavola.

 

Amici, questo non è solo un problema di Giuda. È anche il nostro. Viviamo in una cultura che cerca sempre di comprarsi un posto a tavola. Le persone si stancano di dimostrare il proprio valore attraverso il lavoro, il successo, l'immagine, la forma fisica, i risultati, le relazioni e soprattutto la spiritualità. Curiamo le nostre vite come se fossero un curriculum da presentare agli altri.

 

E la cultura religiosa non è diversa. Spesso cerchiamo di guadagnarci l'approvazione di Dio attraverso le nostre prestazioni, la nostra moralità, i nostri ministeri, le nostre emozioni, i nostri rituali e le nostre altre promesse di "fare meglio". Ma Dio guarda tutti questi sforzi e dice: "Perché spendete il vostro denaro per ciò che non è pane? Perché vi affaticate per ciò che non può soddisfarvi?". Dovete invece venire al mio banchetto…senza denaro.

 

In altre parole, non potete comprare un posto a questa tavola! Non avete la valuta giusta. E la vostra carta di credito non è accettata qui! Questo è precisamente il motivo per cui l'invito è un invito di grazia. Comprate senza denaro, perché non avete soldi sufficienti, e Dio non li richiede. È un pasto gratuito per coloro che si rendono conto di non avere nulla da dare.

 

Fratelli e sorelle, questo pasto gratuito è un altro riferimento all'opera del nostro Servo Gesù. Questa festa è una festa di amore e perdono (7). L'abbondanza e la gratuità dell'acqua rinfrescante (44,3), del vino della gioia (25,6-8) e del latte dell'alleanza, ricchezza e nutrimento spirituale (Es 3,8; Is 60,16), sono tutte immagini della salvezza del Signore, con il suo servo al centro (3-5).  Gesù ne paga il prezzo, noi ne godiamo gratuitamente! L'immagine rivela che il prezzo di questo banchetto è già stato pagato dal Servo di Dio. Perché? Perché non c'è modo che il popolo di Dio possa mai pagare il conto.

 

Allo stesso modo, anche noi siamo tutti nati nel peccato e abbiamo banchettato alla tavola avvelenata. Non c'è modo che possiamo mai pagare da soli il conto del pasto offerto qui da Dio. È come ricevere un invito in un ristorante stellato Michelin, la stella Michelin di tutte le stelle Michelin. Questo menu degustazione va oltre qualsiasi cosa potremmo mai permetterci: cosa c'è nel menu? Il perdono di Dio (7), la gioia e la pace eterna (12), la vita eterna e, un giorno, la fine di tutte le sofferenze (13). Se vogliamo sederci a quella tavola, qualcun altro deve pagare per noi. E Dio ha fatto proprio questo attraverso il Suo Servo, Gesù Cristo.

 

Amici, i banchetti alternativi non possono soddisfarci. Ci lasciano vuoti. Se vogliamo essere veramente soddisfatti, se vogliamo provare una speranza che guarisca i nostri cuori assetati, vuoti, inquieti, insoddisfatti e spezzati, dobbiamo venire e comprare senza denaro.

 

Venite, voi che non avete denaro.

 

Venite, comprate vino e latte senza denaro e senza prezzo.

 

Venite e gustate il cibo ricco e succulente.

 

Questo cibo ricco e succulente è il perdono, la salvezza, la guarigione e la restaurazione. Questo cibo ricco è una giusta relazione con Dio Padre, attraverso l'opera del Re Unto, il Santo d'Israele, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e attraverso la potenza dello Spirito Santo che ci riempie della presenza di Dio. In somma, le benedizioni che Gesù ha assicurato sulla croce - LE SUE BENEDIZIONI - ci sono offerte su un piatto, a un banchetto, il cui costo è già stato pagato per intero. Non possiamo comprarlo con i nostri soldi. Allora, senti l'invito che Dio ti fa? Vieni al banchetto... e compra senza soldi!

 

3.     Mangia con fede

E questo ci porta all'invito finale del brano, che non solo ci dice dove si trova il banchetto (andiamo da lui) o chi lo ha pagato (il Servo), ma anche come lo riceviamo. Se Dio ci chiama a venire alla tavola e se ha già pagato l'intero costo del banchetto, allora cosa rimane? Cosa fa l'anima affamata quando finalmente si trova davanti a una tavola traboccante di grazia?

 

Isaia scrive a un popolo spiritualmente morto e dice: “Ascoltatemi attentamente... porgete l'orecchio e venite a me... e la vostra anima vivrà” (2-3). In altre parole: “Mangia con fede, e la tua anima vivrà!”. Il futuro popolo di Giuda, che sarebbe finito in esilio a Babilonia, si sarebbe presentato davanti a Dio a mani vuote: senza niente, fragile e pieno di vergogna. Ma la verità è che siamo tutti nati in esilio: spiritualmente morti, lontani da Dio, con le mani vuote e il cuore vuoto. E così Isaia scrive anche a noi, dicendoci che l'unico requisito per mangiare a tavola è la fame.

 

Gesù fa eco a questo invito:

“Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati”. Matteo 5,6

 

“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo.”. Matteo 11,28

 

A coloro che non hanno nulla da dare, Gesù offre la speranza, pagata con il proprio sangue, la propria morte e la propria risurrezione. E lo fa diventando lui stesso l’”esiliato”: rifiutato, abbandonato, cacciato fuori dalla città, portato alla croce così anche noi, gli esuli spirituali, potessimo avere un posto al banchetto di Dio.

 

Gesù è stato escluso, affinché noi fossimo accolti.

 

Gesù è stato allontanato, perché noi potessimo essere avvicinati.

 

Gesù ha perso tutto, perché noi avessimo tutto in lui.

 

Gesù ha ingoiato la morte, affinché potessimo assaporare la vita (Ebrei 2,9).

 

Allora, hai fame? Una fame diversa e unica che nasce dal cuore affamato di Dio? Allora Gesù ti dice di venire, senza alcun contributo, nessun pagamento, nessun curriculum, nessuna prestazione, nient'altro che la bocca aperta della fede. Dio ti invita non solo a osservare la tavola imbandita, non ad ammirarla da lontano, ma ad accoglierla, a riceverla, a fidarti di essa, a lasciare che ti nutra e ti guarisca dall'interno. Mangia con fede. Che significa mangiare con fede?

 

Mangiare con fede significa ascoltare l'invito di Dio, ascoltare la sua Parola di promessa.

 

Mangiare con fede significa cercarlo nella vostra fame e nella vostra sete.

 

Mangiare con fede significa allontanarsi dai menu velenosi di cui ci nutriamo: i nostri sciocchi tentativi di ancorare la nostra speranza a cose diverse da Dio.

 

Mangiare con fede è pentimento, chiedere il perdono di Dio per il nostro cattivo modo di mangiare, per i nostri comportamenti peccaminosi (7).

 

Mangiare con fede significa confidare che la sua Parola è la vita di cui abbiamo bisogno.

 

Mangiare con fede significa credere la sua Parola, che alla sua tavola il perdono è dato liberamente perché il suo Servitore ha pagato il nostro conto.

 

E sì, potremmo chiedere:

“Come può essere! Nonostante tutta la mia ribellione, dopo ogni momento in cui ho banchettato ad altre tavole – l’antipasto della lussuria; la tavola della rabbia e dell'impazienza, il buffet della calunnia, della disonestà e dell'incredulità – come può essere che lui ha potuto dirmi che ero perdonato e darmi un posto al suo banchetto? Sembra troppo bello per essere vero!”

 

Amici miei, nel verso 8 vediamo la risposta….i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, e le sue vie non sono le nostre vie (8). E ciò che Dio ha detto si avvera. Proprio come la pioggia e la neve scendono dal cielo e danno vita alla terra, così la Parola di Dio dà vita e speranza al terreno arido dei nostri cuori (10-11). E perché egli è eterno, ed eternamente buono, eternamente giusto ed eternamente amorevole, anche la sua Parola e le sue promesse sono eterne. Cristo ha preso su di sé le conseguenze del nostro mangiare male per offrirti un posto alla sua tavola. Quindi, c'è speranza per coloro che non hanno nulla da dare?  Dio dice di sì: Se ti mangia con fede. “Cercate il SIGNORE mentre lo si può trovare; invocatelo mentre è vicino.” (6).

 

Mentre lo si può trovare…mentre è vicino…

Amici, l'invito al suo banchetto non è eterno; un giorno finirà e la porta chiuderà. Verrà un giorno in cui non potremo più rispondere al suo gentile invito a venire, a comprare senza denaro e a mangiare con fede: ascoltando la sua promessa di redenzione (6); a mangiare con fede cercando il salvatore, Gesù Cristo (7); a mangiare con fede pentendoci e credendo in Colui che offre speranza quando non abbiamo nulla da dare. Se provi a venire al banchetto della salvezza pensando di esserti guadagnato il tuo posto o di aver contribuito al pasto, non troverai posto a tavola.

 

Forse, in questo momento, ti sembra che Dio sia molto lontano da te. Egli ti dice: “Vieni al banchetto. Cercami mentre posso essere trovato”.

 

Forse adesso ti sembra di non avere niente da dare. Egli dice: “Acquista senza denaro. Ho già pagato il prezzo del pasto”.

 

Forse ti rendi conto di quanto sei affamato, vuoto e stanco per esserti aggrappato a false speranze. Egli dice: “Mangia con fede, perché in me sarai soddisfatto, pieno di vita e guidato dalla pace, perché Gesù ha assicurato il tuo posto alla mia tavola”.

E questa speranza non è solo per noi come individui, ma parla direttamente alla nostra città. Per la nostra città e la nostra cultura, Isaia svela un mondo che produce, consuma e agisce senza mai essere soddisfatto (2), inseguendo il materialismo, la produttività e persino lo sforzo religioso come se potessero acquistare il loro posto alla tavola di Dio.

Fratelli e sorelle, ascoltatemi, per la nostra chiesa nella città, siamo chiamati a mostrare un modo diverso di mangiare. Che la stessa grazia che ci invita e paga per noi è la grazia che ora ci nutre. Riceverla significa mangiare con fede. Dobbiamo essere una fonte visibile di grazia riconoscente; una comunità plasmata dal perdono (7), radicata nella Parola efficace di Dio (10-11) e che vive nella speranza di una nuova creazione accennata nei versetti 12-13 di questo capitolo. Che saremmo un popolo che mostra a Roma dove si trova la vera soddisfazione che solo Cristo ci offre. Questa è la vera speranza quando non hai nulla da dare.

 

Vieni al banchetto. Compra senza denaro. Mangia con fede. E poi risplendiamo in questa città come coloro che hanno assaporato il banchetto della grazia di Dio.


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