Speranza per i morenti - Isaia 25

Mio nonno diceva sempre: «Ci sono due cose certe nella vita: la morte e le tasse». Dopo aver passato più di dieci anni in Italia e aver imparato un paio di cose sugli italiani, si potrebbe anche dire che gli italiani hanno una paura da morire delle tasse. Quindi in Italia sembra che la morte sia l'unica cosa che non possiamo davvero evitare.

 

Scherzi a parte, più invecchiamo, più la morte diventa reale. Cerchiamo di ignorarla, ma ne siamo circondati, da lontano nei telegiornali ed i social, e da vicino nella vita delle persone che amiamo e conosciamo. Facciamo tutto il possibile per ritardarla, seguendo ogni nuova dieta o routine che promette una vita più lunga. Ma nonostante gli sforzi umani, nonostante i miliardi spesi per cercare di "spegnere" il gene dell'invecchiamento, non c'è potere, influenza o ricchezza che possa cambiare questa semplice verità: la morte arriva per tutti noi. Fin dal nostro primo respiro, tutti noi viaggiamo verso la morte. L'apostolo Paolo spiega perché è così nella sua lettera ai Romani (5,12). Scrive:

 

«Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, e per mezzo del peccato, la morte, così anche la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato».

 

La morte non è una tragedia casuale. È la conseguenza del peccato, la nostra ribellione contro Dio. La morte è una conseguenza delle nostre azioni.

 

Questo è il punto che Isaia vuole sollevare in questa parte del suo libro. Dopo aver annunciato il giudizio di Dio per il suo popolo a causa della sua idolatria e incredulità, Isaia allarga la visione. Dice che il giudizio di Dio non è solo su Giuda e Israele, ma su tutte le nazioni vicine. Nei capitoli 24-26, Isaia allarga ancora di più lo sguardo, passando dalla storia locale al giudizio finale di tutti i popoli. E lo fa mettendo in evidenza il netto contrasto tra due città. Una città, Moab, è una città orgogliosa destinata alla distruzione, e per natura noi siamo i suoi cittadini e i suoi costruttori che devastano tutto il creato. Come abbiamo sentito durante la confessione del peccato, Isaia 24,4–6 dice:

 

«La terra è in lutto e appassisce... giace profanata sotto i suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, violato l'alleanza, si sono ribellati a Dio». Poiché ciò accade, «una maledizione divora la terra».

 

Qui vediamo sia la giustizia di Dio che la disperazione dell'uomo lontano da Lui.

 

Ma Isaia ci offre anche uno sguardo su un'altra città, una città che da speranza. I capitoli 25 e 26 non offrono una speranza superficiale o sentimentale (non pensare alla morte, goditi il momento), ma ci offrono una speranza profonda e viva in Dio stesso, nella sua cura per il suo popolo che affronta la morte, nella sua redenzione dalla morte, e nella sua vittoria sulla morte una volta per tutte. Amici, la parola di Dio questa sera offre ciò che ogni cuore umano desidera ardentemente... la speranza per i morenti.

 

In Isaia 25 vedremo che mentre l'orgoglio umano crolla, Dio vigila; mentre la morte morde, Dio vivifica; e mentre il suo popolo aspetta, Dio vince. Ed è poiché Dio vince che Isaia 25 è un canto di ringraziamento in mezzo al giudizio, alla distruzione e alla morte.

 

1.     Mentre l'orgoglio crolla, Dio vigila (vv. 1-5)
Anche se il canto di Isaia 25 è molto personale, i primi cinque versetti parlano delle opere di Dio, pianificate prima della creazione e realizzate nella storia, mentre Dio guida tutte le cose verso il suo glorioso scopo  (v.1).

 

Quali opere di Dio spingono il cantore a lodarLo? È la distruzione di una città, una città potente e fortificata, oppressiva e ingiusta che si è sollevata non solo contro il popolo del Signore, ma contro il Signore stesso (v. 2). La città che un tempo si vantava della propria forza, della sua sapienza, e della sua potenza è stata ridotta a un cumulo di macerie fumanti. Coloro che si vantavano di sé stessi sono stati umiliati. Il potere visibile dell'inventiva umana, dell'ambizione, e del progresso, insieme ai monumenti dell'indipendenza umana, tutto è lasciato in rovina.

 

Ma quelli che hanno sofferto per l'arroganza degli abitanti e dei capi di quella città sono protetti e salvati dalla loro angoscia (vv. 3-5). Mentre il crollo soprannaturale e scioccante di una città così potente spaventa i cuori degli orgogliosi, fa cantare di gioia gli umili che vedono che niente può fermare il piano di Dio o la sua promessa di proteggere i suoi. Anche le mura più forti e imponenti vengono abbattute, per non essere mai più ricostruite. Anche le forme di opposizione più aggressive, oppressive, e caotiche contro il popolo di Dio vengono respinte, sottomesse e messe a tacere. Isaia vede che il giudizio di Dio è arrivato, portando distruzione agli abitanti della città degli uomini, e suscitando lode dagli abitanti della città di Dio.

 

Questi atti potenti vanno oltre il potere umano. Mentre le mura alte e forti della città orgogliosa crollano, Dio non si limita a reagire agli eventi proteggendo i suoi, ma abbatte attivamente ogni mattone, con il controllo sovrano e totale di ciò che sta accadendo. La sicurezza offerta da questa città, la forza delle sue fondamenta che ispiravano orgoglio nei suoi costruttori, tutto viene ridotto in macerie dalla gloriosa rovina del giudizio perfetto e buono di un Dio santo, santo, santo. Il canto di Isaia è chiaro: il permesso di soggiorno e la carta d’identità di questa città orgogliosa porta solo alla morte e alla distruzione. All'interno delle sue mura non c'è né vera sicurezza, né salvezza. In un solo istante, tutto ciò che è stato costruito dalle mani dell'uomo viene messo a nudo.

 

Amici, questa è la realtà della nostra vita quando affrontiamo la morte, se non prima. In quel momento, è la nostra cittadinanza che conta di più. Il dilemma però è che siamo tutti nati cittadini di questa città che sta crollando. Ma la misericordia di Dio ci dice che è possibile fare il nulla osta, di cambiare residenza e Dio ha già sbrigato tutta la burocrazia del cielo per noi. Dio salva il suo popolo dalla città dell'orgoglio e li porta nella città della sua pace in Cristo.

 

Dio entra nelle nostre vite, apre i nostri occhi alla follia della nostra forza, e abbatte le mura dei nostri cuori induriti con una breccia fatta della sua Parola ispirate. Lo Spirito Santo lavora per abbattere ogni mattone affinché vediamo la rovina delle nostre vie e leviamo le nostre voci in lode al rifugio che ci offre. Quando l'orgoglio umano crolla, Dio rimane vigile. Le mura che costruiamo per proteggerci un giorno crolleranno, poiché il Signore stesso le abbatterà, ma il Signore stesso è un rifugio per i bisognosi nella loro angoscia. Mentre l'orgoglio crolla, Dio vigila sui suoi.

Le mani che una volta posavano mattone su mattone ribellandosi a Dio un giorno smetteranno di farlo. Ma le mani di Dio non riposano mai nel proteggere il suo popolo. La città orgogliosa cade, ma il Dio vigile rimane saldo, le sue promesse si avverano, poiché egli ha parlato la sua Parola (c. 24,3). Quindi, c'è speranza per i morenti? Sì, soprattutto quando moriamo a noi stessi. Quando la morte ci rende tutti umili, e l'orgoglio crolla, Dio vigila sul suo popolo. Sei uno dei suoi?

2.     Mentre la morte morde, Dio vivifica (vv. 6–8)
Isaia poi solleva i nostri occhi dalle rovine della città dell’uomo verso una nuova scena. Il Dio che abbatte la città dell'uomo ora prepara una tavola sul suo monte santo. La stessa mano che ha abbattuto gli orgogliosi, ora si protende per servire il suo popolo. Dalle ceneri del giudizio sorge la gioia della salvezza. Passando ai versetti 6-8, Isaia ci mostra che mentre la morte morde, Dio vivifica.

 

Il canto di Isaia pensa al giorno in cui il Signore preparerà una grande festa per il suo popolo, un banchetto con il cibo più ricco e buono e il vino più delizioso (v. 6). Qui Dio stesso diventa l'ospite e il suo popolo banchetta alla sua presenza, gustando e vedendo letteralmente quanto è buono il Signore (Salmo 34,8). Mentre loro assaporano le provviste di Dio che danno gioia e sostentano la vita, Lui assorbe l'amarezza e il veleno della morte stessa. Questo è il banchetto della grazia, la festa in cui Dio assorbe la vergogna e la colpa, il peccato e il dolore, la sofferenza e la morte del suo popolo, una volta per tutte. L'immagine è sconcertante. La maledizione che è iniziata con un'alimentazione povera sarà ora annullata da un pasto più abbondante. Fin dall'inizio, il cibo ha raccontato la storia della nostra fede.

 

Nell'Eden, Adamo ed Eva rifiutarono il menu abbondante che Dio aveva preparato, scegliendo invece di mangiare con le proprie mani, e da quel morso la morte li colpì (Gen. 3). Ma vediamo una promessa nel mangiare, un messaggio nei pasti. In Egitto, Dio ha salvato il suo popolo attraverso il pasto pasquale, il corpo e il sangue di un agnello senza macchia (Es 11–13). Nel deserto, Dio ha nutrito i suoi figli erranti con la manna e le quaglie, ricordando loro ogni giorno che la loro vita veniva dalla sua mano (Esod 16; Num 11). Nei Vangeli sentiamo che è sceso il vero Pane dal cielo (Giovanni 6), il nuovo Adamo, che ha rifiutato il menu del mondo (Matt 4). Vediamo il nuovo Mosè, che ha nutrito le moltitudini affamate (Matt 14). Incontriamo al tavolo il Re promesso, che ha offerto un nuovo pasto, la Cena del Signore, un pasto di grazia, segno e sigillo della grazia e del perdono che nutre le nostre anime (Matt 26). Tutto punta a Cristo ed a questo pasto in cima alla montagna dove la morte finisce. Come poteva essere possibile un pasto del genere? La lettera agli Ebrei 2,9 ce lo dice.

 

«Ma vediamo colui che per un po' di tempo è stato reso inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e onore poiché ha gustato la morte per tutti per la grazia di Dio».

 

Sulla croce, Gesù ha mangiato il frutto amaro del nostro peccato, affinché noi potessimo gustare la dolcezza della salvezza. Ha bevuto il calice dell'ira del Padre, affinché noi potessimo bere dal calice della sua benedizione. Ha gustato la morte, affinché noi potessimo banchettare alla tavola della vita.

 

Amici, ogni volta che noi mangiamo, ricordiamo che viviamo grazie alla morte. Qualcosa deve morire affinché noi possiamo vivere. Lo stesso vale per le nostre anime. Il nostro peccato contro il Dio santo, santo, santo, richiedeva la morte! Ma Dio, nella sua misericordia, ha fornito un sostituto. Affinché noi potessimo vivere, Cristo è morto. Ha preso il pasto maledetto che noi meritavamo, e lo ha trasformato in una tavola di grazia. E questa tavola ci indica la strada da seguire, verso il giorno in cui la morte sarà inghiottita per sempre e le lacrime saranno asciugate da ogni volto da Dio stesso (v. 8).

 

Isaia canta del banchetto nuziale dell'Agnello di Dio, dove tutti coloro che appartengono a Cristo siederanno e mangeranno alla presenza di colui che è morto affinché potessero vivere. Poiché? Poiché, sebbene Gesù sia morto, è risorto alla vita, così che quando la morte morde, Dio vivifica. Quindi vi chiedo: da quale menu state mangiando? Vi nutrite ancora delle vuote promesse dell'orgoglio e dell'autosufficienza? Oppure siete giunti, per grazia, nella città di Dio e alla tavola del Signore, l'unico banchetto che soddisfa e l'unico pasto che sconfigge la morte? Quando la morte morde, Dio vivifica.

 

3.     Mentre aspettiamo, Dio vince (vv. 9–12)         
Per quelli che sono venuti alla sua tavola, il banchetto di Dio è già iniziato. Come Isaia, cantiamo ora questo canto con fede, poiché non è ancora finito. Viviamo ancora in un mondo dove la morte getta la sua ombra, dove le lacrime continuano a scendere, e dove aspettiamo ciò che Isaia vide dopo. Mentre aspettiamo, Dio vince.

 

Isaia ci porta dalla tavola al trionfo. Non finisce alla tavola, ma ci porta avanti fino al giorno in cui tutti coloro che hanno assaporato la grazia di Dio alzeranno il calice della salvezza e diranno: «Ecco, questo è il nostro Dio; in lui abbiamo sperato, ed egli ci ha salvati!» (v. 9) Fratelli e sorelle, mentre aspettiamo, Dio vince. La sua vittoria è certa. Ma affinché Dio vinca, gli orgogliosi devono cadere.

Nei versetti 9–12, Isaia descrive ancora una volta il destino della città arrogante, qui simboleggiata da Moab. Coloro che si innalzano contro Dio vengono calpestati su un mucchio di letame, umiliati e sommersi dalla loro stessa impurità, allungando le braccia come nuotatori disperati che cercano di salvarsi, ma affondando sotto il peso della giustizia divina, e annegando nella loro arroganza puzzolente e sporca.

Amici, questa città forte rappresenta ogni potere politico, culturale o religioso che resiste al regno di Dio. Include la Moab dei tempi di Isaia e la Roma dei nostri giorni: cioè una città che esalta la gloria umana, la forza politica, e persino i sistemi religiosi che promettono la grazia attraverso la mediazione e lo sforzo umano. Rappresenta tutti coloro che pretendono di controllare la loro vita e salvezza invece di riceverla. I cittadini di Moab rappresentano tutti coloro che mangiano il frutto delle proprie mani per trovare gioia, soddisfazione e significato nella vita.

In questo modo, la città dell'uomo non è solo secolare, ma può anche essere religiosa. Quando un sistema, sia esso antico pagano o cattolico romano moderno, dice di avere le chiavi della salvezza senza Cristo solo, è come la superba città di Moab, che opprime il popolo di Dio, alimenta l'orgoglio, e carica i suoi cittadini di speranze false. E come quella città, cadrà. Tutti coloro che dipendono dalla propria forza, dai propri meriti, o dalle proprie istituzioni perderanno.

 

Ma coloro che sperano nel Signore vinceranno, poiché Cristo ha già vinto per noi! Questo significa non solo che la morte non avrà l'ultima parola, ma che quelli che appartengono a Cristo condividono già la vita che la morte non può toccare. E mentre aspettiamo il suo ritorno, viviamo come cittadini di un'altra città, la città di Dio.

 

Quindi, chiesa, non siamo un popolo governato dalla paura, ma un popolo fondato sulla certezza della nostra salvezza in Cristo. Non proclamiamo un'istituzione che controlla, ma viviamo una comunità che annuncia la vera grazia immeritata. In una città come Roma, dove il potere è lodato e la morte è temuta, la nostra stessa esistenza come chiesa proclama un altro regno, un'altra speranza, un altro Re sufficientemente vittorioso. Quindi, mentre aspettiamo, gioiamo, poiché Dio ha già vinto e vincerà.

 

La morte arriva per tutti noi, ma c'è speranza per i morenti. Si trova nell'opera gloriosa di Dio Padre, nell’opera di Gesù Cristo, Dio Figlio, che attraverso Dio Spirito dà la vita eterna a tutti coloro che rinunciano alla loro cittadinanza nella città degli uomini, e trovano rifugio nella città di Dio.

 

Per quelli di noi che l'hanno già fatto, ricordiamoci che mentre aspettiamo, Dio vince. Quindi mentre aspettiamo, aspettiamo con fede. Abbiate fiducia nella vittoria già assicurata in Cristo. Mentre viviamo, viviamo con speranza. Lasciate che la certezza della resurrezione vi liberi dalla paura. Testimoniamo con coraggio. Nel cuore di Roma, proclamiamo la grazia che nessun sistema umano può offrire, la certezza della salvezza, solo attraverso Cristo risorto, che garantisce la nostra resurrezione dai morti. Così, mentre il mondo intorno a noi si aggrappa all'orgoglio e all'autosufficienza, siamo chiamati a incarnare la tranquilla fiducia di coloro che sanno che la battaglia è già vinta.

 

In conclusione, il canto di Isaia continua nel capitolo 26 con la lode dalle labbra di coloro che trovano speranza davanti alla morte, nel morire a se stessi, e nel confidare nell'opera salvifica di Dio a loro favore.

 

«In quel giorno si canterà questo cantico nel paese di Giuda: «Noi abbiamo una città forte; il SIGNORE vi pone la salvezza con mura e bastioni. Aprite le porte ed entri la nazione giusta, che si mantiene fedele.» (26,1-2)

 

E poi queste parole di conforto per tutti coloro che aspettano:

 

«Colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace, perché in te confida. Confidate per sempre nel SIGNORE, perché il SIGNORE, sì, il SIGNORE, è la roccia dei secoli.» (26,3-4).

Una pace perfetta di fronte alla morte. Amici, dove riponete la vostra fiducia? Volete fuggire dalla città degli uomini? Dal suo orgoglio? Dalla sua autosufficienza? Dalla sua inevitabile distruzione sotto la giusta ira di Dio? E volete rifugiarvi in Cristo, la città di Dio, il Padre eterno e amorevole?

 

Venite alla sua tavola, vivete sotto la sua premurosa cura, e riposate nella pace di Colui che ha gustato la morte, affinché voi poteste vivere e banchettare alla sua mensa, e gustare quanto egli è buono. Chiesa, aspettiamo il giorno in cui Dio inghiottirà la morte per sempre. Ma quando la morte busserà alla nostra porta, possiamo avere speranza e cuori sereni per unirci alle parole dell'apostolo Paolo, dicendo:

«O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo? Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge; ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo!» (1 Cor. 15,55-58)

C'è speranza per i morenti, perché mentre l’orgoglio crolla, Dio vigila; ⁠Mentre la morte morde, Dio vivifica; ⁠Mentre aspettiamo, Dio vince.


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