Speranza quando non c'è speranza - Isaia 11,1–10

C’è un quartiere di Roma che prende il nome da un elemento che lo ha caratterizzato per quasi cento anni: la zona dell’Alberone. A pochi passi da San Giovanni, l’Alberone era conosciuto per la presenza di un enorme leccio (una quercia sempreverde) che ha rappresentato per molto tempo il punto di incontro tra romani e commercianti dei castelli attorno. Questo grande albero segnava il limite est della città ed ha rappresentato un punto di riferimento per gli abitanti, e per alcuni un vero e proprio marchio d’identità per l’intera area. Purtroppo, nonostante la speranza di molti, l’alberone non ha resistito all’urbanizzazione della città. Negli anni 80’ il leccio morente è stato abbattuto per essere sostituito più volte, lasciando così, il quartiere omonimo, privo della sua principale caratteristica. L’Alberone è rimasto nel cuore dei romani come un segno di ciò che era, ma non è più. Anche il popolo d’Israele, al tempo di Isaia, sembrava un tronco morto. Nei capitoli precedenti all’ 11 la profezia di giudizio nei confronti di Giuda ed Israele raggiunge il suo massimo. Il popolo aveva violato ripetutamente l’alleanza con Dio e l’idolatria, la corruzione, infedeltà e l’ingiustizia erano ormai endemiche. Isaia condanna da parte di Dio i regni del nord e del sud. Essi, come alberi che avevano ceduto alle lusinghe dei tarli del legno, si erano consegnati al peccato ed ora erano pronti per essere abbattuti dalla scure del Signore. Il giudizio era stato emesso, non c’era più alcuna speranza ed il tremendo regno Assiro sarebbe stato lo strumento dalla giustizia di Dio. Come nella via Appia, dell’albero del popolo ne rimarrà solo il ceppo. Ma a differenza del leccio centenario romano, il ceppo radicato nell’alleanza con Dio, dice Isaia al capitolo 6, è una discendenza santa, e nel testo di oggi Dio ci apre ad una speranza inaspettata. Andiamo insieme nel testo e lasciamo che il Signore mostri anche a noi la speranza quando non c’è più speranza.

 

1.             Nella disperazione, spera nella promessa del Padre (1)

Un ramo uscirà dal tronco d’Isai, un rampollo spunterà dalle sue radici (1). Israele è caduta nell’idolatria, Giuda è assediata dall’infedeltà, non c’è più speranza per il tradimento davanti alla santità ed al giusto giudizio; ma Dio mantiene il Suo Patto.  La promessa di un Re Eterno, che sarebbe sorto dalla casa del Re Davide, figlio di Isai (2 Sam 7,16), infatti, non è mai dipesa dalle capacità del popolo di stare al patto, ma dalla fedeltà di Dio. L’albero deve essere tagliato per la sua incredulità, ma il ceppo è santo, le radici sono sante e da lì che uscirà il germoglio del Signore (Isaia 4,2). Il potente regno Assiro, strumento della giustizia di Dio, verrà punito per la sua empietà (Isaia 10).Anche il suo tronco, come quello di Israele, verrà tagliato e rimarrà solo un ceppo, ma è dalla radice d’Isaia che verrà fuori la speranza del mondo. Come dice Apocalisse 22,16, la radice santa è Gesù Cristo, è lui il ramo che nasce della famiglia del Re Davide, il rampollo, Dio Figlio, che sulla croce compirà ed ha compiuto la Salvezza per il peccatore. Isaia sta annunciando la speranza del Cristo promesso dal Padre.

Nella storia della redenzione più volte il popolo si era trovato nella profonda disperazione. Spesso la causa erano nemici che lo opprimevano: come nella fuga dall’Egitto davanti alla vastità del Mar Rosso (Esodo 13), come Elia davanti alle minacce di Izebel (1 Re 19), come Neemia davanti alla ricostruzione delle mura (Neemia 4). Altre volte, invece la causa erano le conseguenze del proprio peccato: come la sofferenza causata dell’idolatria (Esodo 32, Isaia), come la tristezza di Davide dopo il peccato con Betseba (Salmo 51), come la fuga di Giona finita nella pancia del pesce (Giona 2). In tutta questa angoscia il Padre ha sempre mandato avanti la sua promessa di liberazione che, in Gesù ha trovato il suo compimento. Così vale per la storia della chiesa, per le persecuzioni, per Paolo, per Pietro, per Giacomo, per i padri Apostolici, per Jan Huss sul rogo, per i riformatori, per tutti coloro che hanno provato la disperazione. La sofferenza è stata forte, ma la speranza del ritorno del Salvatore non è mai venuta meno.

Nel giardino del Getsemani, Gesù sperimentò la l’angoscia causata dal nostro peccato. Non per sua colpa, non a causa di eventi, ma per noi. Il Signore trasformò le sue lacrime in obbedienza e fiducia nel piano del Padre per la salvezza del Suo popolo; per la tua salvezza. Roma è una città disperata: i nostri vicini, i nostri colleghi, le istituzioni, tutto sembra gridare “basta, non ce la faccio più”. La sofferenza è nelle teste e nei cuori, non fa differenza sociale, economica, culturale, professionale o di genere. Abbiamo la necessità di annunciare la speranza in Cristo nella disperazione. Se è così anche per te oggi, se stai provando la profondità dello smarrimento, non importa se tu stia soffrendo a causa del tuo peccato o per colpa di qualcos’altro, vai a Gesù Cristo. Spera nella promessa del Padre per la salvezza del peccatore. Non importa quanto sei disperato, in Gesù c’è speranza anche per te.

 

2.             ⁠Nel dubbio, confida nella manifestazione Spirito (2-5)

Il rampollo, il ramo d’Isai mostrerà la pienezza dello Spirito Santo. Saggezza, intelligenza, forza, consiglio, conoscenza e timore del Signore saranno manifesti in lui (2). Non giudicherà l’apparenza (3) ma con giustizia ed equità punirà l’empio (4). Sarà cinto di giustizia e fedeltà (5). Lo Spirito si è manifestato in maniera visibile in Gesù Cristo. Egli non era solo un uomo, ma vero Dio e vero Uomo. Ciò che Isaia ha profetizzato si è compiuto in Lui. Nel battesimo, lo Spirito Santo scese su Gesù sotto forma di colomba (Gv 1,32) ed egli lo ha vissuto nella pienezza (Lu 4,18), mostrando la sua divinità con opere miracolose. In Lui come dice Paolo in Colossesi, tutti i tesori della conoscenza e della sapienza sono nascosti (Col 2,3). Gesù è il Salvatore che tornerà per regnare come Re giusto, equo e fedele. Uomo Dio e Re. Il Leone di Giuda, come disse C.S. Lewis è “buono ma non innocuo”, infatti Egli è il Re d’amore, ma tornerà per giudicare la Terra.

Isaia ci invita a confidare in questa duplice rivelazione di Cristo nello Spirito: la prima è che incarnando pienamente i doni dello Spirito, Cristo mostra l’impossibilità del peccato di scalfirlo. Solo il vero Dio poteva essere l’agnello senza difetto che toglie i peccati dal mondo (Es 12, Gv 1,29). Nella seconda, la sua regalità permette di confidare nel suo ritorno vittorioso con i fianchi cinti, pronto a giudicare il mondo. Queste manifestazioni divine dello Spirito in Cristo sono la speranza della salvezza per il peccatore. Come affermò il concilio di Nicea 1700 anni fa sulla natura di Cristo: Gesù è “Dio vero da Dio vero, generato, non creato”. Se Egli non fosse stato la seconda persona della trinità, non ci sarebbe potuta essere alcuna salvezza. Dio Figlio si è manifestato con amore, facendosi servo per donare speranza al peccatore ma è anche il Re servitore che tornerà come Re vittorioso per giudicare i vivi e i morti. È con questa convinzione che Atanasio affrontò l’esilio e la scomunica per combattere contro un mondo che voleva ridurre il Figlio al primo delle creature. Gesù che si è sacrificato sulla croce, che è risorto, che è asceso e siede alla destra del Padre è Dio, e questa Sua divinità toglie ogni dubbio.

Oggi tutto viene relativizzato: la mia verità, la tua verità. A differenza di fratelli e sorelle che vivono il dolore della persecuzione, noi rischiamo di cadere nel dubbio sulla nostra identità. Per la società andiamo bene così, per il cattolicesimo romano sembriamo dei fratellini ribelli, per i nostri amici potremmo sembrare solo delle brave persone appassionate di lettura. Ma siamo figli di Dio ed in Cristo siamo stati innestati in quella radice santa d’Isai (Romani 11). Se perdiamo la speranza così facilmente davanti ad una cultura che non accenna a cambiare o disperiamo davanti alle difficoltà di tutti i giorni significa che ci stiamo aggrappando ad un Gesù parziale. Isaia chiama la chiesa a confidare nel Re Servitore, Lui sta agendo, Lui vive in noi attraverso l’opera dello Spirito Santo e ti sta cambiando per vivere una regalità senza dubbi nella Speranza vittoriosa della Sua opera di Salvezza per il peccatore.

 

3.             Nella precarietà, riposa nella sicurezza del Figlio (6-10)

Quando Cristo tornerà non ci sarà più male o sofferenza (9). Gli animali non saranno più una minaccia l’uno per l’altro (6-7). Non ci sarà più pericolo per gli indifesi (8) ed il Re dei Re sarà esaltato dai popoli nella Sua Gloria (10). La Speranza che Isaia sta proclamando al popolo ha tre tempi: Il primo è quello della sua contemporaneità vissuta nella disperazione sotto la scure dell’impero Assiro, il secondo è quello della fede nell’incarnazione del Salvatore, il terzo è quello della certezza del suo ritorno vittorioso sul peccato e l’avvento di un’eternità di pace e gioia per il Suo popolo. Nella precarietà del Suo tempo Isaia profetizza il compimento della promessa del Padre e riposa nella sicurezza del Figlio. La speranza come scrive l’autore della lettera gli Ebrei (9,28) è che “Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza”.

Il ritorno di Cristo è una certezza e, la speranza in Gesù, come dice l’apostolo Pietro, è una speranza viva (1 Pt 1). Isaia non si abbandona ai sentimenti che si innescano davanti alla precarietà del presente. I salmi che affrontiamo in estate ci insegnano a portare le nostre paure e le nostre sofferenze al Signore che le modella e le usa per trasformarci sempre più all’immagine del Figlio. La precarietà o le prove come dice Giacomo diventano per noi strumenti di crescita e di benedizione (Gc 1,2). L’invito di oggi è quello di vivere vite radicate nel già e non ancora della promessa di Gesù Cristo. Fratelli e sorelle, quanto viviamo ogni giorno questa speranza che stiamo predicando oggi? Cosa succede alle nostre vite quando sono scosse dalla precarietà?  Le parole di Paolo in 1 Corinzi 15,19: “se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili fra tutti gli uomini”, non vanno applicate solo a chi nega la resurrezione di Cristo ma anche a chi le afferma con la voce ma le rinnega con la vita. Siamo alberi piantati vicino ai ruscelli della Parola (Salmo 1) che riposano e mettono frutto o siamo abbandonati al consiglio ed alla visione degli empi che ci insegnano a vivere qui per questa vita soltanto?

Come scrisse John Newton, siamo stati resi partecipi di una Stupenda Grazia immeritata ed Isaia oggi ci chiama a viverla. In Cristo c’è certezza, in Cristo puoi trovare riposo anche davanti alla precarietà della vita. Come Isaia la nostra speranza è oggi nella promessa di Gesù Cristo di essere con noi nella sofferenza e nel domani del suo certo ritorno. In cosa stai sperando? Se hai conosciuto Gesù ma stai vivendo il piattume della disperazione, pentiti perché hai tarato la tua speranza solo su altro che non è Cristo. Il Signore è con te nella prova e già oggi puoi gioire della Sua presenza e del suo ritorno futuro. Su cosa radichi la tua vita? Se non hai ancora conosciuto la speranza della salvezza, oggi Gesù ti può salvare dalla scure di peccato che sta affliggendo l’albero della tua vita. Adesso è il momento per ravvederti dal peccato. Così conoscerai la vera Speranza anche dove non sembra esserci più. 


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