Luca 23,26-43 - Il prezzo del Regno

Predicatore: Nazario Manduzio

Dopo esser stato processato ingiustamente, il Signore Gesù inizia il suo cammino verso il Golgota. Il ministero di Cristo è ormai al suo apice, siamo giunti al momento storico più conosciuto al mondo: Gesù viene posto sulla croce. Non ricordo esattamente quanti anni avevo, ma era un anno dopo l’uscita del film “La passione di Cristo” di Mel Gibson. Nel mio paese natale ci fu una rievocazione di questo evento, ispirata al film. Non vidi mai un evento più partecipato e così ben organizzato. Tutti erano vestiti a tema con delle tuniche, come al tempo di Gesù. C’era chi interpretava i soldati romani, chi il messia e naturalmente non mancava una grossa croce di legno, che sembrava alquanto pesante. Ogni cosa era stata curata nel dettaglio, dalla piazza centrale fino ad un luogo in alto al paese designato per essere il Golgota. La manifestazione attraversava buona parte del paese, e mentre passavo da una strada per tornare a casa, mi ritrovai in questa simulazione straziante: un “Cristo” coronato di spine che trasportava la croce.

Dietro di lui vidi quelli che lo frustavano e gli sputavano addosso, più tutto il corteo a seguire. Non una bella scena, ma è ciò che il nostro Signore ha vissuto sulla sua pelle. Complice un contesto a maggioranza cattolica, per molto tempo ricordo che quella fu l’unica immagine di Cristo impressa nella mia mente. In effetti quando la cultura generale pensa alla croce, è qui che si ferma, con un senso di pietà: considera le atrocità che il Signore Gesù ha vissuto, le ingiurie l’ingiustizia del momento e la morte di Cristo, ma non va oltre. Se andiamo in qualunque ufficio pubblico, sui muri delle scuole o dei tribunali vi troveremo un Cristo sofferente sulla croce. Questa sera non possiamo fermarci qui, non possiamo rimanere spettatori pietosi della crocifissione di Cristo. Il testo di Luca ci spinge a chiederci cosa comporta il Sacrificio di Cristo e quale risposta diamo davanti alla croce.

 

1.    Non essere spettatore, ma sii partecipe della croce (26-27)
Nel vangelo di Giovanni al capitolo 19 v17 leggiamo che per una parte del cammino fu Gesù stesso a portare la croce, come ogni altro condannato. Tuttavia, logorato dalle ferite inflittegli, ormai arrivato alle porte della città, non era più in grado di proseguire. Per questo leggiamo al v26 del nostro testo: “I soldati presero un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna e l’obbligarono a portare la Croce del RE DEI GIUDEI”. Come apprendiamo dal vangelo di Marco al capitolo 15 v21, quel giorno stesso Simone sarebbe diventato un uomo del regno, un figlio di Dio, seppur non volontariamente e inizialmente inconsapevole di ciò che stesse accadendo e del motivo di quell’infamia. Simone di Cirene non rimase solo uno spettatore delle sofferenze di Cristo, fu chiamato a prendere la croce e seguirlo.

Volenti o nolenti ogni giorno io e te siamo davanti a questa realtà inscindibile: o siamo spettatori o siamo partecipi della croce con Cristo. La croce su cui Gesù è salito era una condanna che lui non meritava, ma fu un prezzo che decise di pagare per noi peccatori. Quello che Lui ha compiuto sulla croce è una volta e per sempre, perfettamente compiuto senza nulla d’aggiungervi. Detto questo, Simone ha portato per un pezzo la croce sulla quale Gesù sarebbe stato appeso. Se siamo partecipi della croce allora siamo del regno, se rimaniamo spettatori allora non ne facciamo parte alcuna. Leggiamo le parole di Gesù nel vangelo di Luca al capitolo 9 v23: “se uno vuol venire dietro a me rinunci a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua”. Contemplare l’immagine di Cristo sofferente sulla croce, rievocare la passione di Cristo in modo teatrale non basta per essere partecipi della croce! Ciò che il Signore Gesù ti sta invitando a fare è prendere la croce e seguirlo. Le sofferenze che Cristo ha vissuto furono ingiuste, tuttavia rinunciando alla sua vita ha pagato il prezzo del regno. Non rimanere in disparte. Il Signore Gesù ti chiama a prendere la tua croce e seguirlo. Sappi che le sofferenze fanno parte della vita cristiana e a volte seppur non comprendiamo il perché e il come, Dio le usa per la sua gloria. Le sofferenze di Cristo sulla croce, Dio Padre le ha usate per donare salvezza a chiunque crede nel suo nome. Le tue sofferenze come figlio di Dio non sono vane. Non espiano pene, ma sono strumenti che Dio usa per dare gloria al suo nome e per formarci. Allo stesso tempo sappi che nelle nostre sofferenze, abbiamo un sacerdote che ha sofferto come noi e in lui abbiamo una speranza che va al di là delle sofferenze presenti. Non essere uno spettatore qualunque, sii partecipe della croce, sapendo che è Cristo ad esserci salito al posto tuo.

Come chiesa qui a Roma, forse non siamo chiamati a soffrire nello stesso modo in cui la chiesa soffre in altre parti del mondo, come abbiamo visto martedì scorso in occasione dell’IDOP. Tuttavia, siamo chiamati a partecipare alle sofferenze dei nostri fratelli e sorelle, aiutarli a portare la loro croce, in uno spirito di preghiera e con le risorse che il Signore ci dona.

 

2.    Non essere simpatizzante, ma sii penitente davanti a Cristo (28-32)
Gesù, voltatosi verso quelli che lo seguivano, disse: “figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli. Perché, ecco i giorni vengono nei quali si dirà: beate le sterili, i grembi che non hanno partorito… allora cominceranno a dire ai monti: cadeteci addosso, e ai colli: copriteci. Perché se fanno questo al legno verde, che cosa sarà fatto al secco?” Certamente l’opera di Cristo sulla croce tocca i nostri cuori. Quando vediamo un’ingiustizia, quando veniamo a conoscenza delle vittime di guerra o delle persecuzioni che la chiesa di Cristo vive, il cordoglio non è un sentimento sbagliato. Quello di Gesù, non è un invito ad essere duri di cuore. Il punto che Gesù stesso sottolinea è che gli è gradito è il pentimento del nostro peccato. Il Giudizio di Dio arriverà e ciò di cui abbiamo bisogno più che mai è trovare salvezza nella persona del Figlio, il Legno verde in cui vi è la vita eterna. Gesù non sta delirando, ma sta mandando un avvertimento. Per questo avvisa le donne di Israele dicendo “beate le sterili”. A quel tempo nella cultura ebraica pensare di essere sterili era considerato una sciagura. Quindi l’affermazione di Cristo: “beate le sterili e i grembi che non hanno partorito” è in forte contrasto con l’immaginario comune. Eppure, fu ciò che accadde 70 anni dopo quando Roma distrusse la città di Israele. La gente soffrì e l’ultima cosa che avrebbe voluto, era la distruzione della propria progenie. Cristo vedeva già la loro distruzione e nel suo amore perfetto li invitava a pentirsi del proprio peccato.

Non è difficile immaginare per noi oggi la sorte di Israele a quel tempo e la violenza con cui i Romani distrussero la città. Basta pensare alle guerre di cui siamo testimoni noi oggi: esse ci mostrano quanto la nostra pace e la nostra vita siano fragili. Certamente ci sono ragioni politiche, economiche e sociali a scatenarle, ma la ragione ultima è il peccato, il cuore insanabilmente malvagio di ognuno di noi. Per questo il giudizio di Dio si abbatterà per punire l’ingiustizia del cuore umano. In quel giorno gli ingiusti chiederanno ai monti di cadergli addosso, perché davanti alla santità di Dio saranno inescusabili. Essere simpatizzante della croce non ti basterà per scampare il giudizio di Dio: pentiti del tuo peccato, non ingannarti perché non c’è nessun giusto neppure uno.

 

3. Non essere scettico, ma sii fiducioso nel Re di Israele (33-43)
Arrivato al Golgota, il luogo del teschio, Gesù viene appeso alla croce. Da un lato c’è chi lo schernisce e lo rinnega, dall’altro c’è chi arriva a riconoscerlo come il Messia promesso. Nella cultura in cui viviamo, lo scetticismo riguardo la persona di Cristo è largamente diffuso: lo vediamo nei nostri posti di lavoro, nelle scuole e nella nostra città. Nessuno riconosce la propria colpa, quindi nessuno comprende la necessità del Messia di morire al posto nostro. Un po' come il malfattore impenitente, tutti noi vogliamo sfuggire dalle conseguenze delle nostre azioni. Nessuno lo ammette, ma non è mai colpa nostra se qualcosa accade, è colpa di qualcun altro.

Nella nostra città nessuno si prende carico delle proprie responsabilità, troppo spesso davanti all’ingiustizia si chiudono gli occhi. Quando il debole è oppresso o quando si assiste a una violenza sulle donne, molti cambiano strada o badano ai fatti propri. Proprio come il malfattore scettico tenta di fare, quando commettiamo uno sbaglio cerchiamo sempre una via di uscita che ci aiuti a farla franca. In effetti se non c’è colpa, allora non c’è bisogno di qualcuno che paghi al posto nostro. Ma la a verità è un'altra: l’unico senza colpa è il nostro Signore Gesù Cristo mentre tutti noi siamo colpevoli. Il Sacrificio di Gesù Cristo è la nostra unica speranza di salvezza.

La preghiera di Gesù sulla croce: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” è rivolta a tutti noi oggi, sia che tu sia uno scettico come il malfattore impenitente, sia che tu sia qualcuno che ha già riposto la sua fede in Lui come il malfattore penitente. Il Padre ha ascoltato quella preghiera perché l’unico Giusto che non ha mai peccato è morto al posto dei peccatori. Davanti a Lui, al di là della croce, Gesù vedeva l’eterna gloria del suo regno. Per la sua sola grazia, come l’altro malfattore oggi possiamo avere fiducia in Gesù. Mentre Cristo si trova sulla croce ormai vicino alla fine, Egli non smette di essere il salvatore amorevole del mondo, anzi lo diventa in modo compiuto, continuando ad essere il sacerdote che intercede per noi peccatori.

Non essere scettico, ma sii fiducioso nel Re d’Israele. Gesù morì sulla croce, ma il terzo giorno risuscitò. Come promise al malfattore che si sarebbe ricordato di lui, sappi che se riponi la tua fede in Lui, avrai la vita eterna.


Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.