Genesi 1-3 - Lavoro croce e delizia

Predicato a Roma il 28-04-2019 | Leonardo De Chirico

 
 

(Genesi 1,1-5; 26-31; 2,8; 2,15; 3,1-19)

Quando è stata l’ultima volta che ti sei lamentato del lavoro? Troppo faticoso, orari impossibili, pagato poco, troppe tasse, ambiente di lavoro complicato, … Quando è stata l’ultima volta che hai elogiato il tuo lavoro? Il giorno della paga, il successo di un progetto, la collaborazione con una collega, … Ci sono alcuni aggettivi che ci aiutano a capire la sensazione che il lavoro produce in tutti noi. Questi aggettivi sono “agrodolce”, “chiaroscuro”, e l’espressione “croce e delizia”. Agrodolce è di un cibo che è un po’ dolce un po’ agro: un misto di entrambi. Chiaroscuro è di un’immagine che è un po’ chiara ma anche scura: un misto di grigi. Croce e delizia è di qualcosa che è doloroso (croce) ma anche gratificante (delizia). Tutti e due. Così è il lavoro: dolce talvolta, ma spesso agro, aspro, duro. Chiaro, limpido: alcune volte, ma molto più frequentemente è un’esperienza tenebrosa e buia. Il lavoro può essere “delizia”, ma molto più spesso è “croce”: frustrazione, alienazione, insoddisfazione.

E’ un’esperienza mista, increspata, dolce e amara. Chiediamoci: è sempre stato così? E poi: deve essere per forza così? Deve essere accettato in modo passivo o, nonostante il fatto che sia croce e delizia c’è una prospettiva diversa? Nelle prime pagine della Bibbia ci viene presentata una storia iniziale del lavoro in cui trovare le risposte a queste domande. Nel raccontarci la storia dell’inizio del mondo creato da Dio, la Genesi include il lavoro in questo inizio. In sequenza la storia del lavoro è fatta di tre tappe: 1. il lavoro è una vera benedizione; 2. Nel lavoro si è verificato una tragico sconvolgimento; 3. Per il lavoro c’è una speranza di cambiamento.  

1. Una vera benedizione

Alla prima domanda: il lavoro è sempre stato agrodolce? La risposta è no. Il lavoro è stato creato come una benedizione di Dio, un dono grande, un compito esigente, una responsabilità bella, un’opportunità di comunione. Intanto vediamo che Dio stesso si presenta come il Dio che lavora. Il Dio creatore è un Dio lavoratore. Lui crea il mondo con la forza della sua parola (1,3). Ma è anche un Dio ordinatore che separa, divide, collega le varie componenti del suo creato (1,4). Al culmine della creazione, Dio crea Adamo dalla polvere, poi crea Eva da Adamo: come un buon imprenditore avvia un progetto, lo esegue e lo perfeziona. Inoltre, Dio si prende cura del creato provvedendo l’alternanza delle stagioni. Insomma Dio lavora; Dio è un Dio lavoratore. Nella Bibbia, Dio viene spesso presentato come un lavoratore poliedrico e versatile: giardiniere (Genesi 2,8), pastore (Salmo 23), vasaio (Geremia 18,6), medico (Matteo 8,16), insegnante (Salmo 143,10), vignaiolo (Isaia 5,1-7), metallurgo (lavoratore di metalli: Malachia 3,2-3). Un curriculum vario, con molte competenze e di tutto rispetto!  

Al contrario delle divinità pagane (babilonesi, greche, romane) che non lavorano e che considerano il lavoro un’attività inferiore per gli uomini soltanto, il Dio della Bibbia è un lavoratore, un gran lavoratore. Nel principio del mondo il lavoro c’era perché Dio è un lavoratore e ha sempre lavorato. Il lavoro appartiene quindi alla vita divina ed è una benedizione per Dio stesso, prima di esserlo anche per noi.

Come dicevamo, al culmine della creazione, il Dio lavoratore ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (1,26). Non sorprende affatto che anche per loro abbia previsto una vita di lavoro (2,15): lavorare e custodire il giardino, oltre a svolgere un servizio di amministrazione su tutto il creato (1,26). Il lavoro è parte integrante del nostro essere uomini e donne. E’ parte imprescindibile di quello che vuole dire essere umani. E’ una benedizione originaria e permanente. Dio non ci ha fatti per oziare, ma per lavorare. Il lavoro non è un’invenzione umana, ma un progetto divino che Dio stesso compie e che ha iscritto nella nostra umanità. Il lavoro non è da rifiutare, semmai da abbracciare. Il lavoro non è da disprezzare, semmai da celebrare. Il lavoro non è da attaccare, ma da difendere per tutti. Il lavoro non è da considerare un’appendice o una necessità innaturale della nostra vita, ma la sua principale vocazione.

Il lavoro è una vera benedizione. Punto. Prima dello stipendio, oltre l’ambiente di lavoro, nonostante le difficoltà. Ringraziamo Dio per il lavoro in cui noi imitiamo il nostro Creatore, il lavoratore per eccellenza.  

2. Un tragico sconvolgimento

C’è un secondo momento nella storia del lavoro così come è descritta nelle prime pagine della Bibbia. Il primo atto della storia ci parla con grande enfasi della benedizione del lavoro. Tuttavia, la storia procede e succede qualcosa di sconvolgente. Un serpente compare nella storia. Anche lui è un lavoratore, ma lavora in modo diverso dal Creatore: infonde sospetti su Dio, invita allo scetticismo e alla ribellione, presenta un’alternativa alla vita di Adamo ed Eva con Dio. In nome dell’autonomia da Dio, li spinge a peccare e a staccarsi da Dio per provare l’ebbrezza di essere dèi di sé stessi. Adamo ed Eva cadono nel peccato. Invece di fidarsi di Dio, seguono il serpente. E lì succede un cataclisma, un terremoto, uno sconvolgimento. Allontanandosi da Dio si scoprono nudi, colpevoli e soli. Invece di diventare autonomi, diventano schiavi. Invece di stare meglio, stanno peggio. Invece di fiorire nella vita, iniziano un processo inesorabile che li porta alla malattia e alla morte.

Lo sconvolgimento tragico del peccato ha anche delle conseguenze sul loro lavoro: avendo seguito il serpente che striscia e mangia la polvere, il loro lavoro sarà caratterizzato dalla maledizione di Dio sul peccato. La comunione e la collaborazione nel lavoro diventa conflitto e scontro perenne (3,15); la ricchezza generosa della terra diventa misera e il terreno diventa arido e secco (3,17); l’energia positiva spesa per il lavoro diventa “affanno” permanente, stanchezza e pesantezza (3,17b). All’improvviso compaiono le “spine” e i “rovi” (3,18): oggetti che pungono e fanno male, punte che feriscono e fanno sanguinare. Dopo il peccato, il “sudore” della fatica gronda dalle nostre fronti (3,19) fino a consumarci nella morte.

Il frutto del lavoro non è più solo la crescita delle potenzialità della creazione, ma la gestione delle sue perdite, di effetti indesiderati, di conseguenze negative inaspettate. Quante spine e rovi ci sono nel lavoro! Quanta fatica, quanti conflitti, quanta pesantezza, quanta ingiustizia.

Da qui nascono tutti i problemi che riscontriamo nel lavoro: il lavoro è una benedizione, ma a causa del peccato è entrato in un tunnel tenebroso che lo rende chiaroscuro, agrodolce, croce e delizia della vita. Non dobbiamo stupirci di quanto sia complicato e faticoso il lavoro: è la conseguenza del peccato. E’ la conseguenza di aver seguito il serpente lavoratore piuttosto che il Creatore lavoratore. Il problema di fondo del lavoro non sta nella crisi economica, nella corruzione diffusa, nel sistema fiscale esoso, nella disoccupazione alta: tutte queste cose sono conseguenze del peccato. Sono le spine e i rovi del lavoro contemporaneo che lo rendono un’esperienza malata. Il lavoro è e rimane una benedizione. A causa del peccato è una benedizione stravolta che assume i tratti di una maledizione.  

3. Una speranza di cambiamento

C’è una speranza per il lavoro? Si può sperare di recuperare il nostro lavoro come benedizione e di ritornare ad imitare il giusto lavoratore: il Dio creatore e non il serpente truffatore? Sì, grazie a Dio, c’è. Pur nel bel mezzo della bufera e dello sconquasso, la storia del lavoro delle prime pagine della Bibbia ci apre uno squarcio di speranza.

C’è infatti un terzo lavoratore che compare nella scena: è la “progenie della donna” (3,15) di cui Dio annuncia la venuta. Questa progenie, cioè questo discendente di Eva (un uomo che verrà), farà un lavoro: schiaccerà il capo del serpente. Lo annienterà, lo immobilizzerà, lo fermerà. Il suo lavoro sarà la liberazione dallo sfruttatore che ha illuso e deluso l’umanità. La sua opera sarà la cancellazione delle conseguenze del lavoro sfruttato, sottopagato, conflittuale ed alienante che il serpente ha introdotto e che Adamo ed Eva hanno accettato.

Questa progenie della donna è Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che insieme al Padre e allo Spirito ha lavorato alla creazione del mondo e che, nel tempo stabilito, si è fatto uomo nella persona di Gesù Cristo per schiacciare il capo del serpente e per restituire al lavoro la sua dignità, bellezza e utilità. Dice Gesù: “Il Padre lavora e io lavoro” (Giovanni 5,17). Il mio lavoro è di contrastare lo sconvolgimento del peccato, guarire dalle ferite causate, asciugare le lacrime, riconciliare i lavoratori, ricreare comunità di lavoro in cui si collabori, riformare contesti di lavoro in cui ci sia giustizia per le persone e rispetto dell’ambiente.

Il suo lavoro avrebbe comportato “la ferita del suo calcagno” (3,15): per fare il suo lavoro a favore del nostro lavoro, Gesù ha dovuto soffrire e morire al nostro posto per poi risorgere a nuova vita. Il suo lavoro non è stato un lavoro virtuale: è stata un’opera di sofferenza che ha portato alla salvezza. Lui ha preso su di sé le spine e i triboli del peccato e li ha trasformati in attrezzi per la gloria di Dio e il bene dell’umanità. Grazie alla sua opera, noi possiamo lavorare riscoprendo il lavoro come benedizione.

Quale lavoratore stai seguendo? Quale è il tuo datore di lavoro principale? Il serpente, Satana lo sfruttatore, o la progenie della donna, Gesù Cristo, che è venuto per riconsegnarci al lavoro e farci riscoprire la benedizione di Dio? Credendo in Gesù Cristo e seguendo Lui, il lavoro potrà recuperare la sua benedizione originaria dentro le criticità del lavoro attuale. Certamente il lavoro rimarrà agrodolce, chiaroscuro, croce e delizia sino alla fine, ma i credenti potranno aprirsi ad una nuova stagione di lavoro: non più schiacciati dal lavoro, ma al servizio del Creatore e Salvatore e per il bene nostro e degli altri. Come vuoi lavorare per il resto della tua vita? Con il serpente che ti sfrutta o con Gesù che ti libera?

-Leonardo De Chirico